L’ultima settimana di ottobre ci ha portato una serie di notizie relative a Fca e al rapporto di questo gruppo con l’Italia. Notizie una delle quali, come vedremo, può essere considerata, anche se di riflesso, di portata storica.
Ma partiamo dall’inizio. Martedì 25 ottobre, nel corso di una conference call con gli analisti, Fca ha illustrato i risultati del terzo trimestre di quest’anno. Risultati indubbiamente positivi. Anzi, tanto positivi da aver consentito al gruppo automobilistico transatlantico di rivedere al rialzo i target del 2016.
Nel terzo trimestre, dunque, l’utile netto è salito a 606 milioni di euro, con un vero e proprio balzo in avanti (+ 993 milioni) rispetto allo stesso periodo del 2015, quando il risultato era stato negativo. L’Ebit (Earnings before interest and taxes) sale a 1,34 miliardi di euro, rispetto ai 225 milioni di euro del terzo trimestre 2015. In leggero calo le consegne (- 46.000), ma anche da ciò deriva che la crescita dell’utile è frutto di un incremento della redditività.
Basandosi su quella che la stessa Fca ha definito quindi come una “forte performance operativa”, realizzata nei primi nove mesi dell’anno, il gruppo automobilistico ha innalzato i risultati attesi per l’intero anno in corso, prevedendo non solo ricavi netti superiori ai 112 miliardi di euro ma, soprattutto, una discesa del debito netto industriale al di sotto dei 5 miliardi di euro.
Gli affari, dunque, vanno bene. E questa, di per sé, è già una buona cosa, per il gruppo guidato da Sergio Marchionne. L’osservatore, tuttavia, può chiedersi rispetto a quale strategia tali risultati possano essere funzionali. L’anno scorso, infatti, avevamo dovuto registrare quella che, a ben vedere, era stata un sconfitta, o quanto meno una mancata vittoria, nella strategia di crescita che il Ceo di Fca si è dato. Una strategia basata sulla convinzione che il gruppo Fca, per quanto, evidentemente, più grande dei suoi due componenti originari, e cioè di Fiat e Chrysler, è ancora troppo piccolo. Il che significa che è troppo piccolo non solo rispetto ai colossi del settore auto - tipo Toyota, General Motors, e Volkswagen -, ma rispetto alle proporzioni che saranno richieste ai gruppi automobilistici che vorranno sopravvivere in un futuro sempre più globalizzato e sempre più tecnologicamente innovato. Ne segue che Fca deve trovare un partner significativo con cui realizzare una sua ulteriore crescita dimensionale.
Forte di queste convinzioni, Marchionne aveva tentato, circa un anno fa, di sedurre i detentori dei pacchetti di maggioranza di General Motors, puntando a una fusione con la più grande delle case automobilistiche a stelle e strisce. Però, all’epoca, la resistenza orchestrata dal Ceo di General Motors, la tenacissima Mary Barra, aveva respinto le profferte di Marchionne, facendo naufragare il suo progetto.
Da allora, la strategia di Fca è stata più volte confermata, a livello teorico, ma è rimasta priva di obiettivi tattici percepibili da parte dell’osservatore. Unica novità di rilievo, l’annuncio, risalente alla primavera scorsa, secondo cui nel 2018 Marchionne considererà concluso il suo mandato di Amministratore delegato del gruppo. Ma, proprio confermando analisi e obiettivi della sua conclamata strategia volta a una significativa crescita dimensionale del Gruppo, prima di quella data lo stesso Marchionne intende raggiungere un importante obiettivo intermedio: l’azzeramento del debito che ancora grava su Fca. Ciò nella convinzione che una Fca non più indebitata potrebbe avere un valore molto più rilevante di quello attuale e potrebbe quindi presentarsi più forte in vista di qualsiasi appuntamento futuro.
In quest’ambito, nei mesi scorsi si era diffusa l’ipotesi di una possibile vendita, da parte di Fca, di Magneti Marelli e di Comau, aziende storicamente interne al mondo Fiat. Più specificamente, si era parlato di una possibile acquisizione di Magneti Marelli da parte della coreana Samsung. E certo, rispetto all’obiettivo sopra richiamato, ovvero quello dell’azzeramento del debito, tali dismissioni potevano avere un senso. Ma adesso, e questa è la seconda notizia della settimana, l’ipotesi è stata smentita, anche perché, dopo l’insorgere del problema dell’esplosione delle batterie degli smartphone Galaxy Note 7, l’azienda coreana avrebbe altre priorità.
La nuova ipotesi fatta trapelare dai dirigenti di Fca, certo più ambiziosa di una semplice vendita volta a fare cassa, è quella di ripetere con Magneti Marelli, azienda peraltro blasonata nel campo della componentistica auto, un’operazione per certi versi simile a quella compiuta recentemente con Ferrari. In sostanza, separarla dal gruppo Fca, ma mantenerla, se ben comprendiamo, nella galassia Exor. Ciò consentirebbe, da un lato, di incamerare dentro Fca risorse finanziarie fresche utili per l’abbattimento del debito, e dall’altro di avere ancora nell’orbita di Exor un brand riconosciuto nel mondo dell’automotive.
Dopo aver dato un’occhiata ai più recenti risultati del gruppo Fca, e dopo aver tentato di inquadrarli nell’ambito delle sue prospettive strategiche, veniamo adesso ai rapporti del gruppo con il nostro paese.
Dal punto di vista delle vendite, le cose vanno abbastanza bene. Per ciò che riguarda le quote di mercato, nel terzo trimestre 2016 Fca ha raggiunto in Italia il 28,9% con le auto e il 45,2% con i veicoli commerciali leggeri. Dati, questi, che si inseriscono in una crescita ottenuta nell’intero quadrante Emea (Europa-Medio Oriente-Africa), dove Fca si è collocata al 6,1% rispetto al mercato delle auto e all’11,0% per quello dei furgoni.
Ma non è tutto. Particolarmente significativo, infatti, è un dato contenuto nella ricerca su Le principali società italiane condotta annualmente dall’Ufficio studi di Mediobanca e la cui edizione 2016, relativa ai dati del 2015, è stata resa nota questa settimana. Nella sezione “Imprese industriali e di servizi”, il gruppo Exor-Fca si classifica primo per il secondo anno consecutivo. Si tenga presente che per dodici anni, e cioè dal 2003 al 2013, il primo posto di questa classifica era stato occupato dall’Eni. Adesso, invece, l’Eni, con 67,74 miliardi di fatturato realizzati nel 2015, deve contentarsi del terzo posto, essendo stata scavalcato dall’Enel, con 73,95 miliardi. Al primo posto, come si diceva, sta Exor-Fca, che nel 2015 ha contabilizzato 136,36 miliardi di ricavi (derivanti, per il 75%, dal settore auto).
Tuttavia, al di là dell’ulteriore conferma che le cose vanno bene per il tandem formato da John Elkann, capo di Exor, e Sergio Marchionne, Ceo di Fca, la vera notizia, forse, è un’altra. E sta nell’annuncio che, l’anno prossimo, il gruppo Exor-Fca, ovvero l’erede della Fiat e di casa Agnelli, non sarà incluso nella ricerca di Mediobanca. Infatti, avendo completato il trasferimento all’estero non solo di Exor, ma delle principali società del gruppo, a partire da Fca e Ferrari, il gruppo stesso non può più essere considerato italiano. Non per caso, il comunicato stampa la cui uscita ha preceduto di poco l’avvio della conference call di mercoledì 25 ottobre era datato da Londra.
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