Uno dei punti del programma del presidente Donald Trump che spaventa di più osservatori e cancellerie internazionali è il protezionismo, ovvero i dazi. In campagna elettorale The Donald assicurava di voler introdurre dazi per i prodotti importati dall'estero, una misura con la quale andrebbe a "punire" soprattutto il colonialismo economico a basso prezzo della Cina. Una misura che però - esclusi improbabili dazi ad hoc contro il Dragone - andrebbe a colpire anche gli altri Paesi, con effetti che potrebbero rivelarsi gravi per gli accenni di ripresa dopo la grande tempesta della crisi economica iniziata ormai nel 2008.
E tra i Paesi esteri colpiti, ovviamente, ci sarebbe anche l'Italia. Ovvero ci sarebbe soprattutto Sergio Marchionne. Per intendersi, in questo 2016 saranno oltre 100mila le vetture con il marchio Fca che andranno dal nostro Paese verso gli Stati Uniti, un numero di vetture in grado da solo di far risalire la produzione automobilistica (che in totale prevede circa 1 milione di auto su base annua). Va da sé, la svolta protezionista sarebbe un grosso guaio per l'Italia e per Marchionne. Resta però un potente argine contro l'idea del presidente Trump, e paradossalmente è proprio la maggioranza repubblicana appena eletta al Congresso Usa: liberal per definizioni e dunque contrari ai dazi, difficilmente ingoieranno l'ipotesi trumpiana di un isolazionismo a stelle e strisce.
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